Ripresa dell’industria chimica compromessa dalla crisi energetica

24 ottobre 2022

L’industria chimica in Italia, con più di 2.800 imprese, rappresenta il terzo produttore europeo (dopo Germania e Francia) e il sesto settore industriale del Paese.
Nonostante le difficoltà, nel 2021 – grazie ad una rapida ripartenza – ha ripristinato i livelli di attività pre-Covid realizzando un valore della produzione di 56,4 miliardi di euro.
Il settore impiega oltre 112 mila addetti altamente qualificati e, considerando anche l’indotto, attiva complessivamente 278 mila posti di lavoro.
Tra il 2015 e il 2021 la chimica ha generato circa 7.000 nuovi posti di lavoro, figurando tra i settori che più hanno contribuito a creare occupazione nel Paese.

Immagine news panelNella prima parte dell’anno la produzione chimica in Italia ha mantenuto un’intona-zione positiva (+0,4% nel periodo gennaio-giugno) grazie alla vivacità del comparto delle costruzioni, alla ripartenza dei settori clienti più colpiti dalla pandemia (quali la moda e l’alimentare per la componente fuori casa) e, più in generale, al sostegno degli ordini pregressi. 

La seconda parte dell’anno vede, tuttavia, un significativo deterioramento a causa della crisi energetica che, con il passare dei mesi, morde sempre di più: da un lato si materializzano notevoli rincari di costo, anche alla luce della necessità di rinnovare i contratti di fornitura; dall’altro, si indebolisce la domanda dei settori clienti con casi di rinvio e cancellazione degli ordini. La brusca frenata in atto è già visibile nei dati di luglio e agosto, che segnano un arretramento della produzione del 7% sull’anno precedente. Nell’ipotesi che non si verifichino limitazioni all’attività per il razionamento del gas, si prevede una contrazione della produzione chimica in Italia dell’8% nel secondo semestre che porterebbe a chiudere il 2022 con un calo complessivo annuo del 4%.
 
La crisi energetica ha un impatto duplice sull’industria chimica in quanto i combustibili fossili (petrolio e gas naturale) rappresentano non solo fonti energetiche, ma anche materie prime. Prima dello shock energetico – considerando entrambi gli impieghi – il costo dell’energia aveva un’incidenza sul valore della produzione pari all’11%, la più elevata nel panorama industriale e con punte ben più elevate per alcune produzioni (quali gas tecnici, fertilizzanti, fibre, abrasivi, colorifici ceramici oltre a molteplici principi attivi farmaceutici e sostanze della chimica di base come ammoniaca, acido solforico e cloro soda). Se i costi energetici permanessero sui picchi raggiunti, per alcune imprese si farebbe più consistente l’ipotesi di fermare le produzioni più energivore.
 
Destano grande preoccupazione i rischi di razionamento del gas con ricadute sulla chimica potenzialmente ancor più negative. Tali rischi non riguardano solo il territorio nazionale, ma anche la Germania che rappresenta – per la chimica in Italia – il primo partner commerciale non solo per l’export, ma anche per l’import (con quote rispettivamente del 13% e del 20%). Si potrebbero, di conseguenza, materializzare anche problemi di approvvigionamento degli input chimici. In effetti la produzione chimica tedesca mostra, già nella prima parte dell’anno, una consistente flessione (-5,8% nei primi sette mesi e -9,5% in luglio).

L’industria chimica è da tempo impegnata nel promuovere l’efficienza energetica (dal 2000 ha ridotto i consumi energetici del 44% a parità di produzione) anche grazie agli investimenti nella cogenerazione, nelle rinnovabili e nell’economia circolare. Per fare fronte alla crisi energetica, le imprese stanno utilizzando ogni leva disponibile incluse la rimodulazione dei turni e la riformulazione dei prodotti. Le possibilità di sostituzione del metano, invece, sono al momento vincolate da temi autorizzativi oltre che da aspetti legati alle tecnologie.

I prodotti chimici sono impiegati in tutte le filiere e spesso ne rappresentano un componente essenziale: basti pensare ai principi attivi farmaceutici, ai fertilizzanti, ai disinfettanti o ai materiali per l’isolamento termico e l’imballaggio alimentare. In assenza di adeguate misure di salvaguardia, la situazione di carenza di mascherine e vaccini – vissuta all’inizio dell’emergenza sanitaria – rischia di ripetersi coinvolgendo molteplici applicazioni in ambiti quali la sanità, l’agroalimentare, le costruzioni, le eccellenze del Made in Italy. Bisogna, di conseguenza, prestare particolare attenzione all’industria chimica sia con riferimento agli interventi di sostegno, sia qualora fosse necessario intervenire con limitazioni alla produzione che dovrebbero, in ogni caso, essere programmate con adeguato anticipo, correttamente remunerate e limitate nel tempo. Un piano realistico di riduzione dei consumi di gas rappresenta un contributo importante per limitare i rischi di razionamento e calmierare l’escalation di prezzi.  

A rischio la competitività delle imprese chimiche italiane ed europee

L’industria chimica è tra i settori più colpiti dall’esplosione dei costi energetici anche perché ha un forte orientamento ai mercati internazionali: oltre il 60% del fatturato italiano è generato dall’export. La crisi del gas grava in modo asimmetrico sulla competitività delle imprese chimiche, italiane ed europee, in una fase in cui sono fortemente impegnate ad investire per rendere possibile la transizione ecologica. I recenti segnali di rientro dai picchi dei prezzi energetici rappresentano un sollievo, ma non consentono di chiudere l’ampio divario nei confronti delle altre aree produttive. 

In un solo anno si rischia di dissipare il consolidato surplus commerciale della chimica europea (36 miliardi di euro nel 2021) che testimonia la specializzazione in un settore avanzato in cui storicamente l’Europa vanta una leadership tecnologica e le migliori performance ambientali al mondo. In Italia il deficit commerciale si sta aggravando (nei primi sette mesi ha già eguagliato quello complessivo dello scorso anno, pari a 11 miliardi di euro) per effetto non solo del peggioramento della ragione di scambio, ma anche dell’erosione di quote di mercato: in volume l’import risulta in espansione del 7% a fronte di una crescita dell’export dell’1%. In valore l’export risulta complessivamente in aumento del 28%, ma l’import del 40% con punte ben più elevate per i prodotti chimici provenienti da Cina (+151%), India (+73%) e Turchia (+63%). 

La crisi energetica non è soltanto il risultato della guerra in Ucraina, ma anche della transizione ecologica e della politica climatica europea.
Poiché la domanda mondiale di gas è destinata ad aumentare in modo permanente – in quanto principale vettore della transizione energetica – è essenziale garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e prezzi accessibili attraverso una strategia di diversificazione e revisioni normative coordinate a livello europeo. La forte pressione verso una brusca riduzione degli investimenti nelle fonti fossili, a fronte di un’offerta alternativa ancora inadeguata, finisce per amplificare le tensioni; questo aspetto è di grande rilevanza per la chimica tenuto conto che l’integrale sostituzione delle fonti fossili, sulla base delle tecnologie attualmente disponibili, non è realizzabile. L’aumento del costo dei permessi per le emissioni di CO2 rappresenta un ulteriore aggravio di costo. In questo contesto, oltre alle misure di attenuazione dei rincari, sono necessari interventi strutturali soprattutto a livello europeo.

Una chimica competitiva è essenziale per realizzare la transizione ecologica senza sacrificare il benessere. Grazie alle sue competenze e alla collocazione a monte di numerose filiere, il settore è protagonista della messa a punto di molteplici soluzioni tecnologiche abilitanti per promuovere la circolarità e la sostenibilità in tutto il sistema economico. Basti pensare al riciclo chimico, alle biotecnologie, all’ecodesign, ai carburanti alternativi e alle tecnologie innovative per una mobilità ecosostenibile, per l’efficienza energetica degli edifici, per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo della CO2, per l’idrogeno pulito. La capacità di investire è frutto anche di un’adeguata solidità finanziaria che ha consentito al settore di superare tutte le crisi recenti mantenendo la più bassa incidenza delle sofferenze sui prestiti bancari nel panorama industriale. 


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