Situazione e prospettive per l’industria chimica in Italia

30 ottobre 2023

In un Paese a forte vocazione manifatturiera, come l’Italia, la chimica – con un  valore della produzione di oltre 66 miliardi di euro nel 2022 – rappresenta la quinta industria (dopo alimentare, metalli, meccanica, auto e componentistica) e un fornitore indispensabile per tutte le filiere produttive. Le circa 2.800 imprese sul territorio nazionale occupano oltre 112 mila addetti altamente qualificati.

Dopo aver dimostrato grande capacità di reazione alla pandemia, l’industria chimica4 risulta tra i settori più penalizzati dalla crisi energetica in un contesto che, nel corso del 2023, vede anche l’indebolimento della domanda.

Il rientro dei costi dai picchi del 2022 rappresenta un sollievo, ma la crisi energetica non può dirsi superata. Il prezzo del gas, che si riflette anche sull’elettricità, si mantiene su livelli superiori al pre-crisi (più che doppi nella media dei primi 9 mesi) e alle altre aree geografiche (oltre il triplo rispetto agli USA) in presenza di rischi al rialzo con l’avvicinarsi dell’inverno. Per effetto dell’accelerazione impressa dall’Europa agli obiettivi di riduzione delle emissioni, anche il costo dei permessi per le emissioni di CO2 nell’ambito del sistema ETS è salito dai 25 euro del 2019 ad oltre 85 euro nella media del 2023 in presenza di compensazioni dei costi indiretti legati all’elettricità solo parziali in Italia a causa dell'insufficienza dei fondi disponibili (nel 2021 erogazioni pari al 24% per i settori ammessi).

Per contenere i rincari di costo, le imprese chimiche stanno utilizzando ogni leva disponibile – inclusa, ove possibile, la sostituzione del gas naturale con combustibili alternativi e la riformulazione dei prodotti – oltre ad investire con convinzione nella cogenerazione, nelle rinnovabili e nell’economia circolare. Tuttavia, l’integrale sostituzione dei combustibili fossili (petrolio e gas naturale) – impiegati dalla chimica non solo come fonti energetiche ma anche come materie prime – è allo3 stato attuale irrealizzabile. Prima dello shock energetico – considerando entrambi gli impieghi – il costo dell’energia aveva un’incidenza sul valore della produzione pari al 14%, la più elevata nel panorama industriale e con punte ben più elevate per alcune produzioni.

La domanda risulta in diffuso arretramento e non evidenzia segnali di ripresa. Tra i principali settori clienti, le costruzioni scontano una decisa frenata, dopo il boom del 2021-2022, ma i volumi di attività risultano in calo anche in ambiti meno ciclici come l’alimentare. Mostrano andamenti più positivi solo i settori che beneficiano ancora di spazi di rimbalzo post-pandemico, quali la cosmetica e l’auto (quest’ultima più per la normalizzazione delle catene di fornitura che per effetti di domanda).

La chimica è in contrazione in tutta Europa con un andamento particolarmente penalizzante in Germania (-14% in gennaio-agosto) che rappresenta per l’Italia il primo partner commerciale (quota sull’export pari al 13%). Domanda debole e profonda incertezza – anche in un’ottica di medio termine – rendono concreti i rischi di razionalizzazione di alcune produzioni ad elevata intensità energetica.

La specializzazione italiana nella chimica delle specialità e di consumo (quota di produzione settoriale pari al 61% a fronte del 45% a livello UE) rappresenta un fattore di relativa tenuta, anche alla luce del rientro delle quotazioni del gas su livelli più gestibili, ma non sgombra il campo dalle preoccupazioni. La filiera è strettamente interconnessa, di conseguenza l’indebolimento delle fasi a monte danneggia anche le attività a valle.

A fronte di una contrazione nei primi otto mesi (-9,6%) amplificata dal confronto con una prima parte dello scorso anno ancora su buoni livelli e dal decumulo delle scorte, si stima per l’intero 2023 un calo della produzione chimica in Italia del 9% con un recupero nel 2024 modesto (+1%) e soggetto a rischi al ribasso in relazione all’evolvere dei costi energetici e del quadro economico complessivo.

MIGLIORA IL SALDO COMMERCIALE, MA LA COMPETITIVITÀ RIMANE SOTTO PRESSIONE

Il 2022 ha visto un rilevante peggioramento del deficit commerciale della chimica in2 Italia come effetto della crisi energetica e del divario competitivo rispetto ai principali concorrenti internazionali. Anche a livello europeo il surplus si è fortemente ridimensionato (2,6 miliardi di euro rispetto ai 35,8 miliardi dell’anno precedente).

Nell’anno in corso si assiste ad un miglioramento ma non una normalizzazione della bilancia commerciale (riassorbita circa la metà degli oltre 6 miliardi di aggravio sperimentati nel 2022 rispetto al 2021). La correzione dell’import (-12,3% in valore nei primi sette mesi dopo il +29,4% dello scorso anno) riflette non solo il parziale rientro dei costi energetici, ma anche l’indebolimento della domanda interna. La quota di import dalla Cina, pressoché raddoppiata nel 2022, non vede un significativo ripiegamento.  Anche l’export italiano di chimica perde terreno
(-7,0% dopo il +20,1% del 2022) risentendo di una domanda industriale debole a livello mondiale e in calo soprattutto nel mercato europeo.

L’andamento del saldo commerciale dimostra come, anche in condizioni avverse, non sia possibile fare a meno della chimica. Un indebolimento della chimica italiana ed europea comporterebbe una grave perdita dal punto di vista economico, sociale e ambientale anche perché sarebbe inevitabilmente accompagnato da un aumento dell’import, spesso con minori garanzie in termini ambientali e di sicurezza. Al contrario, una politica industriale in grado di promuovere una transizione sostenibile potrebbe rappresentare un importante volano di sviluppo per il Paese.

È NECESSARIO INTEGRARE GLI OBIETTIVI AMBIENTALI CON UNA POLITICA INDUSTRIALE DI SUPPORTO

L’industria chimica è essenziale non solo per la tutela della salute – come dimostrato durante la pandemia – ma anche come competenza al servizio del Paese. I suoi prodotti sono presenti nel 95% di tutti i manufatti di uso comune comprese applicazioni centrali per la transizione ecologica quali le batterie e i pannelli solari. Il settore, di conseguenza, sostiene la competitività del Made in Italy, generando e difendendo numerosi posti di lavoro.

La sfida ambientale è soprattutto una sfida tecnologica e competitiva. Grazie alle sue competenze e alla collocazione a monte di numerose filiere, la chimica allontana i limiti dello sviluppo ottimizzando i processi e utilizzando sempre meglio le risorse, minimizzando l’uso di quelle più preziose, riutilizzandole o sostituendole, valorizzando anche i rifiuti.

La chimica già oggi è leader nella sostenibilità ambientale: secondo l’ultimo Rapporto1 Greenitaly, infatti, è il primo settore industriale per quota di imprese (60%) che investono in nuovi prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale a beneficio di tutto il sistema economico. Gli ambiti di sviluppo sono numerosi, alcuni dei quali beneficiano, in Italia, di competenze tecnologiche all’avan-guardia. Basti pensare al riciclo chimico delle plastiche, alle biotecnologie, alla produzione di idrogeno low carbon o rinnovabile, alla progettazione circolare dei prodotti e alla chimica da rifiuti, allo sviluppo di tecnologie innovative per l’efficienza energetica degli edifici, per la mobilità ecosostenibile, per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo della CO2.

Le imprese chimiche investono in ricerca, ogni anno, oltre 670 milioni di euro tanto nelle nuove tecnologie quanto nel miglioramento di quelle esistenti. Nell’ultimo decennio il personale dedicato alla R&S è aumentato di oltre il 70% e la quota sull’occupazione, pari all’8%, è ormai in linea con la media settoriale europea.

La chimica è il settore interessato dal maggior numero di iniziative legislative nell’ambito del Green Deal, con ricadute rilevanti in termini di costi e rischi di asimmetrie competitive nei confronti dei produttori extra-europei. Tenuto conto delle importanti agevolazioni previste negli USA per sostenere la transizione ecologica (circa 370 miliardi di $ in un decennio), è necessario integrare gli obiettivi ambientali europei con adeguate politiche industriali di supporto.

Considerando le innumerevoli esigenze applicative, occorre promuovere tutte le soluzioni utili e non privilegiarne alcune a scapito di altre (come nel caso dei sistemi di riuso degli imballaggi a fronte del riciclo, del riciclo like-to-like rispetto al bottle-to-fiber, della mobilità elettrica rispetto ai carburanti bio e rinnovabili). La neutralità tecnologica offre migliori opportunità di rinnovare la struttura industriale esistente, limitando i rischi di ricadute sociali negative, e contribuisce ad evitare che bruschi incrementi della domanda (ad esempio di elettricità) si traducano in forti rialzi dei prezzi a fronte di uno sviluppo dell’offerta non altrettanto rapido.

Per attivare gli ingenti investimenti necessari alla transizione ecologica della chimica, è fondamentale disporre di un quadro normativo stabile e coerente guidato da un approccio scientifico oltre che di agevolazioni per le imprese, anche alla luce del costo crescente del credito. Atteggiamenti inutilmente punitivi nei confronti dei prodotti (o processi) di precedente generazione non stimolano la trasformazione; piuttosto è necessaria una diffusa semplificazione amministrativa e accelerazione degli iter autorizzativi (non limitata ai progetti inclusi nel PNRR). Eventuali restrizioni all’uso di sostanze non dovrebbero basarsi solo su valutazioni di potenziale pericolo ma dei potenziali rischi prendendo in considerazione la capacità di efficace gestione del rischio, anche alla luce della moltitudine e della rilevanza degli impieghi nelle diverse filiere nonché delle difficoltà (a volte persino impossibilità) nell’individuare valide alternative.

La chimica rientra tra i settori più energivori, pertanto l’accesso all’energia a costi competitivi è vitale. In assenza di adeguate misure volte a mitigare i costi energetici (anche nel caso di impiego quale materia prima) si rischia una perdita di competitività anche nei confronti degli altri principali produttori europei. Oltre a conseguire un’adeguata diversificazione delle forniture, occorre sviluppare un sistema del gas realmente integrato a livello europeo e potenziare la produzione nazionale. Altrettanto importante è una riforma del mercato elettrico tesa a ridurre la dipendenza dal gas nella formazione dei prezzi e a riflettere meglio le tecnologie e i costi di produzione.



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