Clima-Energia

GLI SVILUPPI DELLA POLITICA CLIMATICA IN UNIONE EUROPEA

La politica climatica dell’Unione europea continua ad essere caratterizzata da un notevole impegno, tendente alla riduzione delle emissioni di gas serra di origine antropica, che influenzano la concentrazione dei gas serra in atmosfera, e in pratica sono considerate l’unica causa del cosiddetto riscaldamento climatico, consistente nell’aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali.
È noto che l’obiettivo condiviso a livello globale è quello di limitare tale aumento di temperatura a 2°C, e possibilmente a 1,5°C.
Come vedremo, le politiche messe in atto dalle varie regioni mondiali non escludono ancora il raggiungimento dell’obiettivo, ma lo rendono sempre meno plausibile, essendo il valore tendenziale prevedibile per l’aumento di temperatura ampiamente superiore a 2°C. Altro aspetto da non trascurare è costituito dagli effetti che la politica climatica ha sulla politica energetica (e sul costo dell’energia, che ha un ruolo determinante per le possibilità di sviluppo, economico e non solo, di un Paese).

Le presenti considerazioni hanno anche lo scopo di descrivere la situazione attuale della politica climatica europea, i suoi progressi recenti e le sue sfide, inquadrandola nel contesto delle politiche globali, e delle possibilità di procedere verso gli obiettivi.

Come conseguenza naturale della complessità del tema, la politica climatica, soprattutto quella europea, è costituita da varie aree di azione (o capitoli), un cui elenco parziale comprende:

  1. le politiche di riduzione delle emissioni di gas serra, il cui strumento principale è costituito dallo Schema Europeo di Emissions Trading (EU ETS);
  2. le policies messe in atto per sostenere l’applicabilità dell’EU ETS, in primis il cosiddetto CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism);
  3. gli obiettivi legati alla produzione di idrogeno rinnovabile, o verde (non esiste una definizione di idrogeno rinnovabile nell’Unione europea, ma se ne parla attraverso la definizione di RFNBO - Renewable Fuels of Non Biological Origin);
  4. le azioni per il recupero delle emissioni di gas serra, sia fondate sulle tecnologie di CCUS (sequestro e cattura di carbonio e/o utilizzazione), sia fondate sul recupero di carbonio dall’atmosfera (si parla di CDR - Carbon Dioxide Removal).

L’elenco parziale tiene conto dei “capitoli” di interesse per l’industria manifatturiera, tralasciando la trattazione dettagliata di aspetti importanti riguardanti il trasporto, il settore civile e alcuni aspetti relativi alle energie rinnovabili di origine biologica.

Per il primo punto, l’Unione aveva stabilito un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030, quantificato prima nella riduzione del 40% rispetto al riferimento 1990, poi reso più ambizioso (con il pacchetto “FIT for 55”) con l’obiettivo di riduzione del 55% (sempre rispetto al 1990). Si ricorda inoltre che l’obiettivo di riduzione al 2020 era del 20% (vs 1990), il che rende conto della velocità di crescita delle ambizioni sul tema.

Rientrano nel primo punto del precedente elenco sia le azioni di aumento dell’impiego delle energie da fonte rinnovabile, prevalentemente, ma non solo, nella produzione di energia elettrica, sia gli obiettivi di raggiungimento della cosiddetta neutralità climatica al 2050 (data l’impossibilità di prevedere il completo azzeramento delle emissioni di gas serra, si pensa di raggiungere la neutralità climatica attraverso la compensazione delle emissioni residue di gas serra, con la contabilizzazione delle cosiddette emissioni negative).
Occorre ricordare che le tecnologie attualmente disponibili non consentirebbero la previsione del raggiungimento della neutralità climatica nelle condizioni attuali, il che trasforma l’obiettivo, almeno parzialmente, in una sorta di scommessa: infatti la definizione dell’obiettivo non è stata accompagnata da una valutazione di impatto (impact assesment) della Commissione.
L’obiettivo assunto dall’Unione per il 2040, che prevede una riduzione delle emissioni attorno al 90%, è invece accompagnato da una valutazione di impatto.
Le insufficienti prestazioni delle politiche di riduzione delle emissioni costituirebbero delle ragioni a favore dell’impiego delle tecniche CCUS (cattura e stoccaggio della CO2, e sua utilizzazione).

La situazione attuale, tuttavia, sembra ancora non offrire elementi di ottimismo in tempi brevi, sia per una diffusione delle tecniche di utilizzazione, sia di cattura e stoccaggio. Dal punto di vista economico, le iniziative di cattura e stoccaggio dovrebbero essere sostenute dal mancato pagamento per le quote ETS, a compenso dei costi per:

  • il processo di abbattimento delle emissioni di CO2;
  • il trasporto della CO2 verso la destinazione (preferibilmente via tubo);
  • lo stoccaggio nel sito di destinazione.

In Italia è in preparazione un’iniziativa per inviare quantitativi di CO2 in un sito di stoccaggio al largo di Ravenna, ma al momento le stime economiche non sono incoraggianti, in quanto i costi previsti supererebbero abbondantemente i 200 EUR/t, a fronte di un valore delle quote ETS di poco superiore a 70 EUR/t.



LE SFIDE PER LA POLITICA CLIMATICA DELL’UE

Nel maggio 2023 è stata approvata la Direttiva 2023/959 che, oltre alla revisione dell’EU ETS per la seconda parte del quarto periodo (2026-2030, già compresa in generale nella direttiva 410/2018), contiene previsioni per il trasporto marittimo e l’aviazione, oltre ai legami con il sistema CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) e, soprattutto la creazione del cosiddetto ETS2, che in un sistema separato estende gli obblighi ETS al consumo dei combustibili nei settori civile e trasporti, con un importante impatto sui costi per il cittadino.
Ci sono anche indicazioni di pressioni sui tempi, come la richiesta agli Stati membri di recepire la Direttiva entro lo stesso 2023, con le conseguenti eventuali procedure di infrazione, quando in genere per il recepimento ci sono circa 18 mesi. Nonostante la recente Direttiva, molto resta da decidere per l’EU ETS post 2030, che per esempio con le regole attuali vedrebbe il tetto delle emissioni ETS azzerarsi prima del 2040, in contrasto con gli stessi obiettivi al 2040.

Il meccanismo CBAM, oggetto nel 2023 di una specifica Direttiva (958/2023), e di complessi provvedimenti per organizzare un periodo sperimentale (da ottobre 2023 a fine 2025, che non include il pagamento effettivo delle quote CBAM) intende equiparare i costi “climatici” di chi produce in Europa a quelli dei produttori extra-UE, eliminando, allo stesso tempo, progressivamente il sistema delle quote gratuite. La sostituzione delle quote gratuite con l’assegnazione a pagamento promette di aumentare le entrate degli Stati UE, ma insieme alle quote CBAM produrrà un indubbio effetto di aumento dei prezzi; anche questo aspetto peserà economicamente sul cittadino/consumatore.

In questo periodo di transizione per il CBAM sono attese molte risposte, da come assicurare un efficace operatività del sistema, contenendo le possibilità di aggiramento delle regole, a come risolvere il problema di ottenimento di dati affidabili sulle emissioni del processo di produzione dai produttori extra UE, a come estendere il campo di applicazione tenendo conto delle complessità della catena del valore di alcuni settori, in primis la chimica, ed infine occorre prevedere una risposta per rispondere ai problemi creati agli esportatori UE, in prospettiva non più protetti dalle quote gratuite.

L’Unione europea ha adottato un ambizioso programma di diffusione di idrogeno rinnovabile (attraverso la classificazione RFNBO), con obiettivi molto pretenziosi in tempi ristretti (ad esempio 20 Mt/a entro il 2030, di cui la metà di importazione).
Sono stabiliti vincoli molto ambiziosi per il consumo di idrogeno nell’industria manifatturiera, con il 42% di RFNBO sul totale entro il 2030, e il 60% entro il 2035.
Le principali perplessità, che fanno dubitare della raggiungibilità degli obiettivi, derivano da:

  • enorme divario (anche superiore a 10 EUR/kg) tra i costi di produzione dell’idrogeno attualmente prodotto, ottenuto da steam reforming del metano, e quello rinnovabile, ottenibile da elettrolisi dell’acqua, con elettrolizzatori alimentati da elettricità rinnovabile addizionale, e sottoposta a vincoli molto stringenti sia in termini temporali che geografici;
  • difficoltà di ottenere in modo sostenibile le quantità di elettricità (addizionali, in aggiunta ai già elevati livelli previsti per i programmi diversi dall’idrogeno).

Il divario a livello di economics rende proibitivo intervenire con lo strumento dell’incentivazione, che sarebbe troppo onerosa per essere sostenibile, e con speranze di progressivo azzeramento del divario in tempi prevedibili.

In linea di principio, il ricorso al nucleare potrebbe contribuire ad una risposta al problema della disponibilità di adeguati quantitativi di elettricità, soprattutto con le iniziative già programmate di scala limitata come ad esempio, gli SMR, small modular reactors, con esperienze già attive negli Stati Uniti (Dow, Texas). Pur essendo un tema di cui è importante seguire l’evoluzione, è tuttavia difficile pensare a sviluppi pratici prima del 2035, anche considerando il diverso contesto normativo:

  • negli USA l’impianto è gestito direttamente dall’operatore chimico, con le sue scorie conservate nel sito di produzione;
  • in UE una simile prospettiva sembra poco plausibile, considerando anche che in molti casi, perfino nel caso di un impianto di cogenerazione il gestore industriale (in particolare chimico) ha scelto di rinunciare alla gestione diretta.


LE EMISSIONI GLOBALI DI GAS SERRA OGGI

È importante, per la presente trattazione, considerare l’attuale livello delle emissioni di gas serra, per il quale una fonte molto autorevole è costituita dall’UNEP (United Nations Environment Programme) e il suo annuale “Emissions Gap Report” (EGR), la cui ultima edizione è dell’autunno 2023, con i dati aggiornati al 2022.
Le emissioni di CO2 legate alla produzione di energia (che comprendono gran parte ma non tutta la CO2, escludendo ad esempio la CO2 legata ai processi industriali) sono associate ad un sistema di contabilizzazione e reporting di maggiore affidabilità.
Le emissioni di CO2 legate alla produzione di energia sono riportate da IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia), il cui ultimo rapporto, del marzo 2024, contiene dati aggiornati al 2023.

Le comunicazioni disponibili sul tema diffondono in genere molte e dettagliate informazioni sui successi nelle azioni di riduzione delle emissioni di gas serra, che sono certamente importanti per far conoscere i risultati degli indubbi successi, in termini di riduzioni delle emissioni, che sono stati raggiunti. Tuttavia, la domanda essenziale è se le emissioni (globali) stanno diminuendo oppure no. E la risposta è che le emissioni globali stanno ancora aumentando.
Il motivo di questa impostazione è che le azioni delle singole regioni sono importanti per distinguere tra di esse, ma i risultati ottenibili dipendono unicamente dai dati globali che riportiamo di seguito:

  • da EGR si ricava che il valore annuale delle emissioni globali al 2022 è di 57,4 Gt (miliardi di tonnellate);
  • dal report IEA si ricava il dato 37,4 Gt al 2023 per le emissioni di CO2 legate alla produzione di energia, che riflette un aumento di 0,41 Gt nel 2023, quindi il valore al 2022 è 37 Gt;
  • al 2022, quindi, risultano 57,4 Gt di emissioni globali di gas serra, di cui 37 di emissioni di CO2 legate alla produzione di energia, pari al 64,45% (da tener presente che non è la % di tutta la CO2 ma una parte preponderante di essa).

Facendo riferimento alla CO2 legata alla produzione di energia (sia per la maggiore affidabilità, sia per l’aggiornamento più recente), la Tavola 23 riporta l’andamento storico di tali emissioni.

Ciò che può dedursi dal grafico è che le azioni finora messe in atto dal sistema globale non sono ancora sufficienti ad invertire la continua tendenza di crescita (sia pure con velocità decrescente nell’ultimo periodo) delle emissioni.
Questa descrizione complessiva, però, nasconde una situazione molto complessa e variegata che riguarda le singole azioni, le varie regioni e le categorie di regioni.



I DETTAGLI DELLE AZIONI DI RIDUZIONE E DEI RISULTATI

Nel corso del 2023 le emissioni di CO2 legata alla produzione di energia sono aumentate di 410 Mt, o dell’1,1%, a fronte di un aumento del GDP (Prodotto interno lordo) del 3%. Nel 2022 l’aumento era stato di 490 Mt, o 1,3%. Il 65% dell’aumento delle emissioni è dovuto al carbone.
È importante ricordare l’effetto sulle emissioni di fattori al di fuori del controllo umano, come ad esempio la ridotta produzione idroelettrica, che ha causato un aumento delle emissioni del settore elettrico di 170 Mt, senza le quali le emissioni del settore elettrico avrebbero fatto registrare una diminuzione.
Tra il 2019 e il 2023 l’impiego delle tecnologie solare fotovoltaico, eolico, nucleare, pompe di calore e auto elettriche hanno contenuto la crescita delle emissioni a 0,9 Gt; senza di esse la crescita delle emissioni sarebbe stata tre volte maggiore. Il risultato è una decelerazione nell’aumento delle emissioni (+0,5% annuo nel decennio fino al 2023).

ECONOMIE AVANZATE

La prestazione delle economie avanzate è stata positiva: nell’ultimo decennio, a fronte di un aumento del GDP di 1,7%, le emissioni si sono ridotte del 4,5%.
La riduzione nel 2023 (-0,52 Gt) porta il livello di emissioni nelle economie avanzate a 50 anni fa, con la domanda di carbone al livello di inizio ‘900. Alla riduzione nel 2023 hanno contribuito:

  • sviluppo delle fonti rinnovabili
  • switch da carbone a gas (US)
  • ridotta produzione industriale in alcuni Paesi
  • clima più mite

Il 2023 ha visto aumentare di 540 GW le tecnologie eolica e solare, un aumento del 75% sul 2022. I risultati di queste imponenti azioni sono limitati ad un rallentamento della crescita delle emissioni, non portando ancora ad un’inversione di tendenza.

CINA E INDIA

Nel 2023 la Cina ha registrato un aumento di emissioni pari a 0,565 Gt con una ridotta produzione idroelettrica (causa di un terzo dell’aumento delle emissioni). L’aumento corrisponde a +4,7%, causato da +5,2% della combustione per la produzione di energia e di una stabilità delle emissioni da processi industriali, a fronte di un aumento del PIL del 5,2%, e di un aumento della domanda di energia ancora maggiore (+6,1%).
Le emissioni pro capite cinesi sono ora del 15% maggiori rispetto alle economie avanzate.

In India è stato registrato un aumento delle emissioni di 0,19 Gt (+7%, per un complessivo di 2,8 Gt), con aumento del PIL di 6,7%.
Nel periodo 2019-2023 la crescita media è stata del 4,1% per l’India, e del 4,6% per la Cina.

Importante nel 2023 il contributo della Cina alla crescita delle “clean energies”, con +60% per solare fotovoltaico, eolico e veicoli elettrici.
Il contributo di solare FV ed eolico nella produzione di elettricità è del 15% (vs 17% delle economie avanzate), salendo notevolmente dal 4% del 2015.
Non trascurabile per le emissioni il ruolo di fattori ciclici come recupero post Covid (+100 Mt CO2), riduzione idroelettrico (+115 Mt) e tempo mite (-35 Mt), con un contributo complessivo di 1/3 della crescita delle emissioni.
Per Cina e India è importante il ruolo del carbone, che nel 2023 ha contribuito al 70% dell’aumento delle emissioni (270 Mt su 410 Mt). Tale aumento è solo parzialmente compensato dalla riduzione nelle economie avanzate.
Per quanto riguarda le altre fonti si è registrato un aumento marginale per il gas e +95 Mt per il petrolio, con la riapertura di Cina e aviazione globale.
Riferendosi al periodo 2019-2023, le emissioni sono aumentate di 0,85 Gt, con la componente carbone a +0,9 Gt, crescita moderata per gas e lieve riduzione per il petrolio.

UNIONE EUROPEA

I dati UE sono molto positivi in termini di riduzione delle emissioni, un po’ meno se si guardano le causali con una riduzione delle emissioni (di CO2 legata alla produzione di energia) del 9% (-0,22 Gt), a fronte di una crescita economica di solo 0,7%.
La crescita delle “clean energies” giustifica la metà del declino delle emissioni.

I driver della riduzione delle emissioni:

  • Rinnovabili nel settore elettricità (l’eolico ha superato sia gas naturale sia carbone); riduzione del 27% (nel 2023) di elettricità da carbone, del 15% dell’elettricità da gas
  • Recupero della produzione idroelettrica
  • (parziale) recupero del nucleare, però non tornato ai livelli 2021 (il che avrebbe consentito ulteriori 70 TWh e una riduzione ulteriore di 40 Mt di CO2.
  • Riduzione della produzione nel settore industriale (contributo del 30% della riduzione totale delle emissioni)

STATI UNITI

Nel 2023 si è registrata una riduzione delle emissioni del 4,1% (-0,19 Gt), a fronte di una crescita economica del 2,5%.
Due terzi delle riduzioni delle emissioni sono stati conseguiti dal settore elettrico, nonostante una riduzione della produzione idroelettrica (-6%, o -15 TWh). La ridotta intensità delle condizioni del vento ha causato una mancata riduzione di 16 Mt CO2. Nonostante tutto, il settore elettrico ha ridotto le emissioni di 20 Mt, che sarebbero state 40 Mt con un contributo “normale” di idroelettrico ed eolico.
I prezzi vantaggiosi del gas rispetto al carbone hanno facilitato lo switch da carbone a gas (elettricità da carbone -20%, da gas +6%). L’inverno mite ha un contribuito del 35% alla riduzione complessiva delle emissioni.



EMISSIONI GLOBALI: FORTI CAMBIAMENTI NEL PANORAMA

Con riferimento alle emissioni di CO2 legate alla produzione di energia, le emissioni della Cina, che nel 2020 hanno superato quelle delle economie avanzate, nel 2023 sono diventate maggiori di esse del 15%.
Impressionante la progressione della quota di emissioni della regione “developing Asia”: 25% nel 2000, 40% nel 2015, 50% nel 2023 (con il 35% dovuto alla Cina).

Le emissioni delle cosiddette economie avanzate, con una tendenza di decrescita fin dal 2006, e una riduzione del 4,5% nel solo 2023, sono ormai al livello di 50 anni fa, con il consumo del carbone al livello di inizio ‘900.

Rimane invece immutata l’inadeguatezza delle azioni in campo rispetto agli obiettivi adottati: secondo il rapporto EGR di UNEP, per il 2030 i governi prevedono di produrre complessivamente più del doppio delle quantità di combustibili fossili che sarebbero coerenti con i programmi di lungo termine di riduzione delle temperature previsti dall’Accordo di Parigi del 2015.
La prosecuzione delle politiche vigenti consentirebbe un obiettivo di 3°C di aumento della temperatura globale, riducibile a 2,5°C con gli impegni dichiarati (condizionali e non). Si arriverebbe ad una previsione di 2°C con la realizzazione di tutti gli impegni net-zero (NDC, nationally determined contributions, sulla cui affidabilità UNEP è scettico).
Gli impegni net-zero sono diffusi, essendo espressi da 97 Paesi che rappresentano l’81% delle emissioni globali in forme diverse (legge per 27 Paesi, documento di policy come NDC o documento strategico in 54 Paesi, o annuncio governativo).
La realtà è diversa: a livello G20, nessuno dei membri ha ridotto le emissioni in modo coerente con i target net-zero.

La situazione è resa più complessa, con riferimento alle emissioni derivanti dai consumi, dagli squilibri tra gli Stati e all’interno di essi: globalmente, il 10% della popolazione a maggior reddito è responsabile del 48% delle emissioni, con i due terzi di questo gruppo nei Paesi sviluppati. Il 50% della popolazione mondiale a reddito più basso è responsabile del 12% delle emissioni totali



OSSERVAZIONI SULLA POLITICA CLIMATICA UE

Quanto esposto costituisce la base per alcune osservazioni riguardanti la politica climatica in UE:

  • l’Unione europea è impegnata in una politica climatica molto ambiziosa, i cui effetti sono misurabili solo in termini globali (emissioni globali di gas serra, concentrazione di gas serra in atmosfera), ma risultano molto “diluiti”, dato che il contributo UE alle emissioni globali è di circa il 7%;
  • la dipendenza dei risultati dalle “prestazioni” delle altre regioni, e la situazione di tali prestazioni (di cui si è dato conto) dovrebbe indurre riflessioni basandosi sul criterio del bilancio tra il costo e il beneficio della politica stessa;
  • la diffusione di tali valutazioni richiederebbe un’adeguata diffusione di informazioni sui costi;
  • informazioni specifiche possono essere trovate nei documenti della Commissione, a tal proposito riportiamo un esempio, tratto da una tabella del recente (febbraio 2024) di impact assesment della Commissione sull’obiettivo al 2040, che riguarda le necessità di investimenti annuali per il settore energia (circa 1500 miliardi di euro) che meriterebbe migliori azioni di comunicazione;
  • il settore chimico europeo è sempre stato molto forte, con un bilancio molto “soddisfacente” tra quantità e valori esportati, rispetto a quelli importati. Come noto, la situazione si è purtroppo molto deteriorata. Purtroppo, ad oggi, non ci risultano esempi concreti di “carbon leakage” ufficialmente riconosciuti dalla Commissione UE;
  • un ulteriore esempio riguardante i diversi approcci utilizzati in Europa rispetto ad altri più “naturali”, e meno impattanti per l’economia: negli USA, la maggiore competitività acquisita dal gas rispetto al carbone ha agevolato un significativo “shift” da carbone a gas, con relativa diminuzione di emissioni; come noto il “sistema UE” è quello di rendere il carbone molto più costoso attraverso le quote, con un effetto diverso sul consumatore e sull’economia.



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