L'INDUSTRIA CHIMICA IN EUROPA E NEL MONDO
L’INDUSTRIA CHIMICA MONDIALE NEL 2023-2024
La domanda chimica mondiale ha sperimentato, nel corso del 2023, un moderato consolidamento dopo un 2022 particolarmente sottotono (+2,7% in volume rispetto al +1,5% dell’anno precedente). Tuttavia, questo incremento è stato sostanzialmente trainato dalla Cina (+9,6%) a fronte di un andamento stagnante della produzione USA (-0,1%) e di un’ulteriore contrazione di quella UE.
La fase attuale si caratterizza per la rilevanza non solo dei fattori di domanda, con una perdurante debolezza dell’industria soprattutto nei Paesi avanzati, ma soprattutto per la rilevanza delle condizioni di offerta che presentano svantaggi competitivi per la chimica europea, in quanto area più colpita dalla crisi energetica, implicando andamenti fortemente diversificati tra le principali aree.
L’anno in corso vede, inoltre, perdurare numerosi fattori di incertezza: dalle tensioni in Medio Oriente, che condizionano i costi di trasporto internazionale e potrebbero comportare ricadute anche per le quotazioni di petrolio e gas, al rischio di crescenti misure protezionistiche, soprattutto tra Cina e Stati Uniti con conseguenti ulteriori pressioni dell’import sul mercato europeo.
La Cina - nonostante un contesto economico complessivamente non brillante segnato dalla crisi immobiliare - è riuscita ad evitare una frenata economica eccessiva grazie a industria ed export, rafforzando il suo ruolo di primo produttore chimico mondiale con una quota pari al 43%.
LA CHIMICA EUROPEA NEL 2023-2024
L’industria chimica è un settore di specializzazione strategico per l’economia europea. Impiega 1,1 milioni di addetti e nel 2023 ha realizzato un valore della produzione di 655 miliardi di euro, confermandosi quale secondo produttore chimico mondiale con una quota pari al 13%.
Il combinato disposto della perdita di competitività connessa alla crisi energetica e di una domanda industriale in fase riflessiva ha comportato, nel 2023, un calo della produzione chimica europea (-8,5%) persino più marcato di quello registrato l’anno precedente (-6,1%) nonostante il rientro dai picchi dei costi energetici.
La produzione chimica ha continuato a contrarsi in tutti i principali Paesi europei con un andamento particolarmente penalizzante in Germania (-12,1%) e Olanda (-12,6%) alla luce della maggiore rilevanza della chimica di base. Francia e Spagna evidenziano una migliore tenuta, anche grazie a costi energetici relativamente più competitivi.
Il confronto con i livelli pre-pandemia evidenzia la perdita di terreno della chimica europea (-11% nel 2023 rispetto al 2019) rispetto ai principali concorrenti (Cina +30% e USA +1,6%) nonostante prima della crisi energetica si fosse, al contrario, distinta per una notevole capacità di ripartenza.
SALDO COMMERCIALE DELLA CHIMICA EUROPEA
La chimica europea ha sempre generato un ampio avanzo commerciale, contribuendo a garantire all’UE benessere ed equilibrio negli scambi internazionali. Nel 2023 tale avanzo ha registrato un significativo rimbalzo rispetto al 2022 (35,5 miliardi di euro rispetto ai 3,4 miliardi dell’anno precedente), ma proseguendo la dinamica di ridimensionamento avviatasi dal 2017. A fronte di un incremento dell’avanzo commerciale nella chimica fine e specialistica, la chimica di base evidenzia ormai un consistente deficit.
La competitività europea è a rischio soprattutto nei settori di base – tendenzialmente più energivori – ma in realtà in tutta la chimica con effetti a cascata sull’industria anche in relazione alle esigenze di autonomia strategica.
INVESTIMENTI DELLA CHIMICA EUROPEA E MONDIALE
Gli investimenti rappresentano un fattore chiave per far fronte alla sfida ambientale, che è anche una sfida tecnologica e competitiva.
La chimica europea investe in R&S circa 10 miliardi di euro all’anno e l’intensità di ricerca – dopo il calo sperimentato negli anni Novanta e Duemila, comune a tutte le principali economie avanzate – mostra dal 2011 una tendenza crescente. Altre aree mondiali mostrano, tuttavia, una maggiore capacità di attrazione degli investimenti: come nella produzione, è la Cina il principale polo (125 miliardi di euro nel 2023), ma il Medio Oriente (incluso nella voce “Altri paesi”) e gli Stati Uniti (24 miliardi) hanno visto un consistente incremento con l’istallazione di nuova capacità produttiva e ulteriori importanti investimenti si materializzeranno nei prossimi anni.
Costi energetici non competitivi e l’incertezza, alimentata dalla massa di nuove normative legate al Green Deal, frenano i nuovi investimenti in Europa e hanno già comportato la razionalizzazione di alcune produzioni di base: infatti, sul totale delle chiusure annunciate a livello mondiale, il 75% riguarda l’UE.
FATTORI COMPETITIVI E IMPATTO DELLA CRISI ENERGETICA
Tra i fattori più rilevanti per la competitività europea, un aspetto critico è rappresentato dalla disponibilità a costi accessibili di energia e materie prime, prevalentemente di origine fossile (petrolio e gas). Produrre etilene, “building block” dell’industria chimica mondiale ed elemento fondamentale alla base di moltissimi prodotti, risulta più costoso in Europa non solo rispetto al Medio Oriente, ma anche agli Stati Uniti. Il divario, venutosi a creare a seguito dell’impiego dello shale gas (più economico della virgin nafta utilizzata in Europa), si è enormemente ampliato a seguito della crisi energetica. Le asimmetrie competitive, a scapito dell’Europa, riguardano anche il costo dei permessi per le emissioni di CO2, nell’ambito del sistema ETS, che evidenziano una tendenza di forte crescita quale esito dell’innalzamento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni in presenza anche di fenomeni speculativi.
REGOLAMENTAZIONE EUROPEA E POLITICA INDUSTRIALE
Il Green Deal europeo pone obiettivi molto sfidanti, primo fra tutti la neutralità climatica al 2050, che richiederanno una profonda trasformazione dell’industria chimica da attuare solamente in uno o due cicli di investimento. In assenza di analoghi vincoli a carico degli altri principali produttori, non va sottovalutato il rischio che le asimmetrie normative si traducano in una perdita di competitività per la chimica europea con effetti negativi a cascata su tutta l’industria manifatturiera, sull’occupazione e sulla stessa protezione dell’ambiente (in presenza di importazioni crescenti da aree con minori standard).
Alla luce degli ingenti investimenti richiesti dalla sfida ambientale, Cina e USA stanno introducendo rilevanti misure di supporto: basti pensare ai 370 miliardi di $ di agevolazioni in un decennio introdotte con l’Inflation Reduction Act per favorire la transizione ecologica, accompagnate da vincoli di produzione locale secondo i principi del “Buy American”. In questo contesto, il Cefic (Associazione dell’industria chimica europea alla quale aderisce Federchimica) si è fatto promotore della Dichiarazione di Anversa per chiedere alle Istituzioni europee della nascente legislatura che il Green Deal sia accompagnato da un Industrial Deal dotato di adeguate risorse e attento alle esigenze dei settori più energy-intensive. L’Europa, al contrario, ha finora introdotto vincoli normativi – con effetti spesso asimmetrici – e prelevato risorse dall’industria chimica (ETS, CBAM, Plastic Levy) senza sostenere adeguatamente la sua transizione ecologica.
Il Rapporto sulla competitività, commissionato da Ursula Von Der Leyen a Mario Draghi, individua una nutrita serie di proposte di politica industriale sia di carattere orizzontale (in primis in materia di energia) sia a specifico sostegno della chimica nell’ambito delle Industrie ad elevata intensità energetica. È fondamentale che, nel corso della prossima legislatura, le Istituzioni europee, con la collaborazione degli Stati Membri, diano seguito a tali proposte.
CARATTERISTICHE E CONGIUNTURA DELL’INDUSTRIA CHIMICA IN ITALIA
LA CHIMICA È LA QUINTA INDUSTRIA DEL PAESE
L’Italia è un Paese a forte vocazione industriale e la chimica, con un valore della produzione di oltre 67 miliardi di euro nel 2023, rappresenta la quinta industria del Paese (dopo metalli, alimentare, meccanica, auto e componentistica). Le imprese chimiche attive sul territorio nazionale sono più di 2.800 e - con 3.700 insediamenti - occupano quasi 113 mila addetti altamente qualificati.
Nonostante il rientro dei costi energetici dai picchi del 2022, la produzione chimica in Italia ha subito un’ulteriore battuta d’arresto nel 2023 (-6,7% dopo il -4,1% dell’anno precedente). Gli irrisolti problemi di competitività connessi all’elevato costo dell’energia si sono associati alla debolezza della domanda, in particolare espressa dai clienti industriali, aggravata da un ciclo di alleggerimento delle scorte di prodotti chimici senza precedenti.
Nel 2024 emergono segnali di stabilizzazione o parziale recupero connessi più alla normalizzazione delle scorte che a un’effettiva ripartenza della domanda. Persistono però rilevanti asimmetrie competitive nei costi energetici che condizionano particolarmente il settore in quanto dipendente dalle fonti fossili (gas naturale e petrolio) sia a fini energetici sia come materie prime.
L’ITALIA SI CONFERMA IL TERZO PRODUTTORE CHIMICO EUROPEO
La chimica in Italia rappresenta il terzo produttore europeo (dopo Germania e Francia) e, per diverse produzioni della chimica fine e specialistica, riveste posizioni anche più rilevanti. In alcuni casi, come nei principi attivi farmaceutici, vanta una leadership a livello mondiale.
La specializzazione italiana nella chimica delle specialità e di consumo (quota di produzione settoriale pari al 57% a fronte del 37% a livello UE) contribuisce a spiegare la relativa tenuta della produzione dinnanzi alla crisi energetica, ma non sgombra il campo dalle preoccupazioni. La filiera è strettamente interconnessa, anche nell’innovazione, di conseguenza l’indebolimento delle fasi a monte danneggia anche le attività a valle. La chimica di base, infatti, sviluppa nuove sostanze e materiali che poi la chimica fine e specialistica – formulando prodotti dalle proprietà innovative – rende disponibili per tutti i settori economici e industriali.
PERVASIVITÀ E CONTRIBUTO ECONOMICO DELL’INDUSTRIA CHIMICA
La chimica è essenziale non solo per la tutela della salute, come dimostrato durante la pandemia, ma anche per il suo ruolo di tecnologia al servizio di tutto il sistema economico: fornisce, infatti, input indispensabili e ad elevato contenuto innovativo ad agricoltura, industria e costruzioni così come ai servizi e ai consumatori finali. Attraverso i suoi prodotti, la chimica contribuisce ad alimentare la competitività e la sostenibilità di tutti i settori utilizzatori, generando e difendendo numerosi posti di lavoro. Dietro al successo internazionale dei prodotti tipici del Made in Italy – calzature, abbigliamento, mobili, piastrelle e molti altri – ci sono spesso un prodotto e un’impresa chimica innovativi. I prodotti chimici sono infatti componenti essenziali del 95% dei manufatti, siano essi di uso quotidiano o impiegati in applicazioni centrali per la transizione ecologica quali batterie, pale eoliche o pannelli solari.
Alla luce della sua pervasività, il settore chimico ha effetti moltiplicativi sull’intero sistema economico tra i più elevati con i benefici in assoluto più diffusi. Infatti, un investimento diretto di 100 euro nell’industria chimica in Italia ne genera ulteriori 232 nella filiera allargata. Di conseguenza, il benessere complessivo prodotto è pari a 3,32 volte l’investimento iniziale.
CARATTERISTICHE STRUTTURALI E RILEVANZA DELLE PMI CHIMICHE
In Italia, infatti, l’industria chimica vede la presenza equilibrata di tre tipologie di attori: le PMI (41% del valore della produzione), i medio-grandi gruppi nazionali (21%) e le imprese a capitale estero (38%).
L’importanza delle PMI nell’industria chimica non deve essere sottovalutata: a livello europeo attivano ben il 36% dell’occupazione settoriale e in Italia tale quota si avvicina al 61%. Uno degli aspetti più critici per le PMI chimiche riguarda l’impatto di normative inutilmente complesse che, imponendo i medesimi requisiti a tutte le imprese, agiscono come un costo fisso e penalizzano soprattutto le realtà medio-piccole, rischiando persino di bloccarne i processi di sviluppo. In assenza di personale dedicato agli aspetti normativi, infatti, sottraggono risorse ad attività strategiche come la ricerca o l’attività stessa dell’imprenditore.
PRINCIPALI GRUPPI CHIMICI ITALIANI
I gruppi chimici a controllo nazionale, attivi sul mercato mondiale, sono dotati della massa critica per affrontare le sfide tecnologiche e ambientali. Insieme alle maggiori realtà della chimica di base, figurano medio-grandi gruppi spesso leader nel loro segmento di specializzazione a livello mondiale o europeo. Quasi tutti i maggiori gruppi chimici a controllo nazionale hanno realizzato investimenti produttivi all’estero, non con finalità di delocalizzazione ma per rafforzare la loro posizione nel mercato globale, alimentando così in un circuito virtuoso anche l’export, la produzione e l’occupazione sul territorio italiano. Complessivamente la loro quota di produzione estera sulle vendite mondiali è pari al 44%.
IMPRESE A CAPITALE ESTERO COME PARTE INTEGRANTE DELLA CHIMICA IN ITALIA
Anche le imprese a capitale estero rappresentano una risorsa importante per l’industria chimica in Italia. La loro attività crea valore sul territorio nazionale dove producono e fanno ricerca (oltre 200 milioni di euro all’anno). In diversi casi l’Italia ospita un vero e proprio centro di eccellenza, che rappresenta il punto di riferimento del Gruppo a livello mondiale per la R&S in determinate aree della chimica o per specifiche produzioni.
In effetti non c’è contrapposizione tra imprese estere e nazionali, anzi le imprese a capitale estero si sentono a tutti gli effetti parte integrante della chimica italiana e le due tipologie tendono sempre più ad assomigliarsi anche nella forte propensione all’export. Gli impianti italiani delle imprese estere, spesso specializzati in specifici segmenti della chimica, destinano all’export una quota maggioritaria della produzione, in molti casi superiore al 70%.
Le imprese chimiche si sono inserite con successo all’interno delle catene globali del valore. Il 61% della produzione realizzata in Italia, infatti, fa capo a imprese multinazionali a capitale sia domestico sia estero. La forte presenza di Gruppi dal respiro internazionale contribuisce anche a diffondere le Migliori Pratiche generate in tutto il mondo non solo in termini di capacità di presidio dei mercati esteri ma anche di modelli organizzativi, competenze, formazione e responsabilità sociale con ricadute positive su tutto il sistema produttivo nazionale. D’altro canto, proprio la forte internazionalizzazione rende il settore sensibile alle perturbazioni nelle catene di fornitura globale e alle asimmetrie competitive generate dalle normative soprattutto in ambito ambientale.
OCCUPAZIONE SETTORIALE DI QUALITÀ
L’industria chimica offre solide prospettive occupazionali: più del 95% dei dipendenti ha un contratto a tempo indeterminato e, tra il 2015 ed il 2023, il settore ha generato oltre 8.000 nuovi posti di lavoro. Nonostante i rilevanti fattori di incertezza, che condizionano il quadro generale, le imprese stanno investendo sui giovani anche per dotarsi di nuove competenze in ambiti strategici quali la ricerca e la digitalizzazione. Dal 2015 l’occupazione under-35 è aumentata del 19% a fronte di un incremento decisamente più contenuto nell’industria manifatturiera (+8%). Inoltre, i giovani occupati nella chimica beneficiano di retribuzioni del 19% superiori alla media nazionale.
Attraverso i suoi acquisti e investimenti, la chimica genera un indotto significativo: si stima che, per ogni addetto diretto, risultino attivati quasi due ulteriori posti di lavoro nel sistema economico per un totale di oltre 324 mila occupati. Anche l’occupazione generata attraverso l’indotto è di qualità; basti pensare, ad esempio, ai servizi specializzati in ambito ambientale.
Intensità di capitale, innovazione e Risorse Umane altamente qualificate rendono la chimica uno dei settori a maggiore produttività nel panorama industriale italiano: il valore aggiunto per addetto è tra più i elevati ed è superiore del 74% alla media manifatturiera. In definitiva, la chimica è un settore adatto a un Paese avanzato come l’Italia perché, proprio grazie alla sua complessità, è in grado di garantire occupazione qualificata e, di conseguenza, ben remunerata.
DIFFICOLTÀ DI REPERIMENTO DI COMPETENZE NECESSARIE
Il settore riscontra oggi crescenti difficoltà di reperimento del personale. Nel 2022 oltre un terzo delle nuove assunzioni previste è risultato di difficile reperimento. In particolare, se si analizza la quota di assunzioni di difficile reperimento” che richiedono competenze digitali e green, l’industria chimica riporta criticità maggiori della media italiana: +11 punti percentuali per le competenze digitali e +10 punti percentuali per le competenze green. Le difficoltà di reperimento riguardano non solo figure specializzate, ma in misura significativa anche figure tecniche-operative (quali turnisti e addetti alla produzione).
Per maggiori approfondimenti si rimanda alla ricerca commissionata da Federchimica all’Università degli Studi di Milano "Le competenze per la Twin Transition".
Un ruolo rilevante nel ridurre lo skill mismatch può essere giocato non solo dalle Università, ma anche dagli Istituti Tecnici Superiori (ITS Academy) e dagli Istituti di Istruzione Tecnica. Grazie alla stretta collaborazione con il mondo delle imprese, cui è affidata circa la metà delle ore di docenza, l’83% dei diplomati ITS trova un impiego qualificato non appena terminato il percorso di studi. Tuttavia, ad oggi, in Italia vi è una sola Fondazione ITS specializzata in ambito chimico e poche altre realtà afferenti a tale ambito, a cui sono iscritti circa 200 studenti (contro gli oltre 6.000 nei corrispettivi ITS della Germania). Risulta quindi fondamentale la cooperazione tra imprese del settore e istituzioni scolastiche con riferimento ai progetti educativi e al miglioramento dell’attrattività nei confronti dei giovani.
RUOLO E PROSPETTIVE DELL’INDUSTRIA CHIMICA IN ITALIA
LA SFIDA DELLA SOSTENIBILITÀ E L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE TECNOLOGICA
Nonostante un contesto complesso e denso di incertezze, le imprese chimiche sono consapevoli che, per affrontare con successo la sfida ambientale e sostenere la competitività, la ricerca riveste un ruolo essenziale e investono sul territorio nazionale, ogni anno, oltre 690 milioni di euro. Nell’ultimo decennio il personale dedicato alla R&S è aumentato del 76% arrivando a sfiorare i 9.000 addetti. La quota sull’occupazione raggiunge ormai l’8%, in linea con la media settoriale europea a fronte del 5% dell’industria manifatturiera italiana nel suo complesso. Inoltre, tra i ricercatori chimici, emerge una presenza femminile ben più significativa della media industriale: 32% a fronte del 19%.
La transizione ecologica richiede investimenti in nuove tecnologie breakthrough in fase di sviluppo o industrializzazione (riciclo chimico, prodotti da fonti bio e rinnovabili, idrogeno low carbon e rinnovabile, cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2) ma altrettanto rilevante è il contributo incrementale delle innovazioni di processi e prodotti già esistenti in un’ottica di miglioramento continuo. Un ambito di investimento che offre immediati ritorni in termini di competitività riguarda chiaramente l’efficienza e l’autoproduzione energetica, ma le imprese sono fortemente impegnate anche su numerosi altri fronti. Ottimizzare l’uso di tutte le risorse naturali e lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti, sviluppare l’economia circolare e l’eco-progettazione, rafforzare la collaborazione lungo la filiera e l’informazione/formazione nei confronti di utilizzatori e consumatori finali, sono tra le priorità dele imprese del settore.
RISULTATI CONCRETI PER LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE
La chimica già oggi è leader nel fornire soluzioni per la sostenibilità ambientale. Secondo il Rapporto Greenitaly, è il primo settore industriale per quota di imprese che investono in tecnologie e prodotti a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale. Inoltre, l’impegno per la tutela dell’ambiente nel settore chimico ha una lunga storia con risultati tangibili e di assoluta eccellenza: la riduzione delle emissioni dirette di CO2 (-64% dal 1990) ha già superato l’obiettivo europeo al 2030 (-55%), i consumi di acqua a parità di produzione sono stati ridotti del 57% dal 2005 e il riciclo rappresenta già oggi la prima modalità di gestione dei rifiuti (quota del 45%).
Per maggiori approfondimenti consultare la pagina dedicata a Responsible Care.
Il settore si appresta a fare un ulteriore salto di qualità grazie ai molteplici ambiti di sviluppo, alcuni dei quali beneficiano, in Italia, di competenze tecnologiche all’avanguardia. Tuttavia, gli investimenti necessari a realizzare la transizione ecologica della chimica in Italia sono ingenti: si stima che la transizione richiederà 20 miliardi di investimenti aggiuntivi entro il 2050 (il 40% in più rispetto alla media del periodo 2016-2020) e, considerando anche i costi operativi, si superano i 30 miliardi.
LA TRANSIZIONE AMBIENTALE DEL SETTORE RICHIEDE SPECIFICI INTERVENTI DI POLITICA INDUSTRIALE
L’industria chimica ha un ruolo cruciale per realizzare concretamente la transizione ecologica senza sacrificare il benessere e la coesione sociale. Da sempre con la sua propulsione innovativa è stata promotrice di equità sociale, rispondendo alle nuove esigenze con soluzioni accessibili per ampie fasce della popolazione. In virtù delle sue competenze tecnico-scientifiche sulla materia e del suo posizionamento a monte di tutte le filiere, è fondamentale per ridurre le emissioni negli utilizzi a valle e promuovere l’economia circolare e la sostenibilità garantendo, allo stesso tempo, autonomia strategica all’UE.
La chimica è tra i settori che più può contribuire a realizzare concretamente la transizione ambientale, ma è anche tra i più esposti ai rischi connessi a costi non competitivi dell’energia e a un sistema normativo penalizzante a livello europeo. La chimica è, a tutti gli effetti, il settore coinvolto dal maggior numero di iniziative legislative connesse al Green Deal ed è impattata trasversalmente su diversi ambiti normativi che riguardano – ad esempio – transizione energetica, neutralità climatica, circolarità e gestione dei rifiuti, sicurezza dei prodotti ed etichettatura. Ad essi si aggiungono la sicurezza degli impianti, la tutela dell’ambiente, il trasporto merci e la finanza sostenibile.
In tale contesto Federchimica insieme alle altre Parti Sociali di settore (Unionchimica e le Organizzazioni Sindacali FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL, UILTEC-UIL e UGL chimici), avvalendosi di The European House – Ambrosetti come partner scientifico, ha promosso lo studio strategico “L’industria chimica come competenza abilitante per il Made in Italy e per lo sviluppo sostenibile”. Tale studio si pone come strumento per le imprese e le Istituzioni, a partire dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, volto a definire le linee guida di una politica industriale coerente per lo sviluppo di un’industria chimica competitiva a livello italiano ed europeo. È essenziale partire dal ruolo strategico dell’industria chimica nella consapevolezza che la transizione richiederà non meno, ma più chimica; basti pensare che la mobilità sostenibile necessiterà di almeno il 30% in più di prodotti chimici.
Per ciascuno degli ambiti prioritari identificati (investimenti e agevolazioni, sistema normativo, costi energetici, infrastrutture, competenze e dimensione sociale energia) sono state individuate specifiche proposte di intervento, distinguendo tra quelle che richiedono stanziamenti pubblici e quelle immediatamente adottabili che, senza richiedere un «impegno» economico aggiuntivo, possono contribuire ad abilitare la transizione ecologica dell’industria chimica.
Le normative sono uno strumento potente per orientare imprese e consumatori, ma non devono alimentare l’incertezza e diventare di ostacolo agli investimenti e alla competitività. Fissare obiettivi rispettando il principio di neutralità tecnologica significa mantenere aperta la strada a molteplici tecnologie, consentendo di individuare le soluzioni migliori in funzione delle innumerevoli esigenze applicative – anche in relazione alle specificità dei singoli Paesi – e favorendo, allo stesso tempo, una graduale riconversione delle strutture industriali esistenti.
Per il settore l’accesso alle fonti energetiche a costi competitivi, anche attraverso la costituzione di un mercato unico europeo dell’elettricità, così come tempi certi per gli iter autorizzativi rappresentano precondizioni essenziali. Inoltre, nella consapevolezza che i prodotti eco-sostenibili più innovativi comportano costi più elevati, sono necessari meccanismi incentivanti per stimolare la domanda di mercato oltre che controlli efficaci anche sulle sostanze e i prodotti importati dall’extra-UE.
La transizione ecologica rappresenta una sfida di enorme portata non solo per l’industria chimica, ma per tutta la società. Bisogna essere consapevoli che un indebolimento della chimica – accompagnato da una maggiore penetrazione dell’import – comporterebbe una grave perdita non solo sul piano industriale, ma anche per la tutela dell’ambiente tenuto conto degli standard di eccellenza delle produzioni locali e del suo ruolo strategico nello sviluppo di soluzioni tecnologiche per la transizione ambientale. Affinché la transizione possa tradursi in un’opportunità di sviluppo, è necessaria la collaborazione – con pragmatismo e senso di responsabilità – di tutti gli attori sociali: imprese, lavoratori, Istituzioni e cittadini.